di Alberto Premici |  Per la tragica vicenda del crollo del ponte Morandi di Genova, del 14 agosto 2018, dopo i primi giorni di emergenza assoluta, si iniziano a tracciare quelli che saranno i percorsi e le procedure per ripristinare e migliorare lo stato dei luoghi, tornando in tempi ragionevoli alla normalità.

Si piangono, e si piangeranno per molto tempo, le decine di morti e feriti, vittime sia della fatalità che dell’incuria umana, ma al momento l’obiettivo primario è dare una collocazione consona alle centinaia di sfollati dall’area interessata.

Tralasciando il rimbalzo delle responsabilità, soprattutto politiche, che non produce fatti e soluzioni concrete se non quello di riportarci a vecchi e patetici deja vu, la magistratura, proprio in questi giorni, sta acquisendo tutti i materiali audio e video degli istanti del crollo strutturale del ponte, oltre ovviamente a tutti i documenti ufficiali, a partire dal progetto originario e a tutti quelli collegati.

Se c’è una certezza però è quella che il ponte, per la sua strategica funzione viaria dell’intera Liguria e del nord-ovest della penisola, dovrà essere ricostruito.

Ci è sembrato interessante riportare alcune dichiarazioni rilasciate a BBC, CNN, Telegraph e Guardian, dal professor Ian Firth, una delle massime autorità mondiali in fatto ponti e non solo.

Firth è docente in alcune prestigiose università, ha guidato le principali istituzioni di ingegneria civile in Inghilterra e da 38 anni progetta e costruisce ponti in tutto il mondo (fra i suoi progetti c’è anche il Ponte sullo Stretto di Messina).

Nel suo intervento il professore, che ben conosce il ponte Morandi di Genova, stronca senza pietà la possibilità di ricostruire la struttura in soli 180 giorni, così come dichiarato dalla società Autostrade.

Sulle cause del disastro Firth è stato cauto: “Visto che questo ponte in calcestruzzo rinforzato e precompresso è stato in piedi per oltre 50 anni, è possibile che la corrosione degli stralli o dei rinforzi, abbia contribuito al crollo, ma non va trascurato il fatto che ci fossero dei lavori in corso che possono avere giocato un ruolo”.

Definisce gli ingegneri italiani “Tra i migliori del mondo” ma, prosegue “I ponti, tutti i ponti, in particolare quelli costruiti negli anni ‘60, hanno bisogno di manutenzione e nessuno può puntare il dito contro di loro se non è stata fatta a dovere”.

E su questa responsabilità non ha dubbi: “E’ il concessionario (Autostrade, ndr) che ha in gestione il ponte ed è il responsabile per la qualità della struttura e per il monitoraggio del degrado che ha subito nel corso degli anni. Agli ingegneri, è vero, spetta la valutazione tecnica, ma è il concessionario che ha la responsabilità per quello che è accaduto”.

Per la ricostruzione Ian Firth ipotizza che “non ha alcun senso rifare il ponte Morandi com’era, che era innovativo negli anni ‘60, ma sappiamo che ha sempre avuto problemi dopo e che è stato progettato secondo una tecnica, il calcestruzzo armato precompresso, oggi completamente superata”… “per effetto di questo tragico crollo, l’Italia ha l’opportunità di fare un ponte non solo tecnicamente evoluto, non solo in grado di durare più a lungo, ma soprattutto più grande, con più corsie e quindi con la possibilità di far transitare molti più veicoli e risolvere un problema annoso della città di Genova”.

Nella sua disamina Firth sottolinea anche l’importanza dell’estetica e dell’inserimento paesaggistico, di ciò che andrà a sostituire il Morandi, perché: “Un giorno nessuno si ricorderà dei costi di un’opera, ma tutti potranno dire se un ponte è brutto o no. Un ponte ci racconta, racconta come siamo”.

Oltre al professore inglese, sono molti gli strutturisti che stanno studiando soluzioni per la ricostruzione dell’importante infrastruttura ligure, che per ora è solo sinonimo di tragedia, ma si spera diventi il simbolo dell’avvio di una nuova era per le infrastrutture italiane.

(ap)

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