il Carnevale


La storia, le immagini, i video, le testimonianze di una storia lunga 5 secoli

© Alberto Premici | Offida.info (pagina in continuo aggiornamento)


Inno Storico del Carnevale Offidano

 

Addio del Volontario – (testo di Carlo Alberto Bosi) – scritto nel marzo 1848, presso il Caffè Castelmur (oggi non più esistente) di Firenze e ripresa dai giovani offidani al ritorno dalle guerre. Testo. Esistono diverse versioni del testo; questo che segue è probabilmente quello più vicino all’originale:

Addio del volontario – (Carlo Alberto Bosi, 1848)

Addio, mia bella, addio,
l’armata se ne va;
se non partissi anch’io
sarebbe una viltà !

Non pianger, mio tesoro,
forse ritornerò; ma se in battaglia io moro,
in ciel ti rivedrò.
La spada, le pistole,
lo schioppo l’ho con me;
allo spuntar del sole
io partirò da te.

Il sacco è preparato,
sull’omero mi sta;
son uomo e son soldato;
viva la libertà !
Non è fraterna guerra
la guerra ch’io farò
dall’italiana terra
l’estraneo caccerò.

L’antica tirannia
grava l’Italia ancor
io vado in Lombardia
incontro all’oppressor.
Saran tremende l’ire,
Grande il morir sarà !
Si mora: è un bel
morir per la libertà

Tra quanti moriranno
forse ancor io morrò;
non ti pigliare affanno,
da vile non cadrò.
Se più del tuo diletto
tu non udrai parlar,
perito di moschetto
per lui non sospirar.

Io non ti lascio sola,
ti resta un figlio ancor;
nel figlio ti consola,
nel figlio dell’amor.
Squilla la tromba
l’armata se ne va:
un bacio al figlio mio;
viva la libertà !

Questa canzone fu scritta da alcuni volontari del battaglione toscano studentesco (Università di Pisa e Siena) che partirono per respingere l’invasione austriaca lasciando i libri e imbracciando i fucili, a Curtatone e Montanara il 28 e 29 maggio. Per quanto poco romantico possa sembrare è il primo esempio di coscienza popolare italiana, dove una classe medioborghese parte per il fronte (prima linea) professori e studenti accanto. Di questi (erano poco più di trecento) ne tornarono una manciata, per poi vedere la Toscana cadere nel 1849 con la presa di Livorno (16 maggio), operata dal Granduca che vendette tutto il Granducato per un milione di Svanziche. E’ conosciuta anche come “Addio mia bella addio“, “L’addio del volontario toscano“, o “La partenza del soldato

Addio mia bella addio (versione carnevalesca – solo musicale – by Congrega del Ciorpento):

PURA AMICIZIA

Sonetto

Pura amicizia è la “Congrega” Nostra

Verace union, simpatica, civile,

In tempi oscuri certo ci dimostra

Ch’è semper virens spirto suo gentile;

Specie quando il destin, purtroppo mostra

Bieca la faccia sua, malvagia, ostile,

Se un caro si diparte, non ci prostra,

Ci uniam vieppiù com’è nel nostro stile;

Lucente, Alata, come Dea Vittoria,

Vai tu “Congrega” mia nell’Universo,

Di Civiltà cortese a dir la storia;

Merito è Tuo se ancor non andò perso,

D’Offida il Carnascial, con la Sua Gloria;

“Congrega Mia” a Te questo mio verso.

Marco Mercolini Tinelli – (25 luglio 1928 – 23 marzo 2012)

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Fondatore e Serenissimo dell’Immortale Congrega del Ciorpento

La Congrega del Ciorpento
(brevi note goliardico-illustrative)
La Congrega del Ciorpento di Offida, fondata il 10 febbraio 1948 da un gruppo di giovani amici con a capo Marco Mercolini Tinelli, ha sede in Offida nel centralissimo e antico palazzo Mercolini Tinelli. Da quasi settant’anni, senza interruzione, in un rapporto di piena comunione e rispetto con le antiche tradizioni carnascialesche, promuove, con spirito di fraterna solidarietà e di reciproco servizio, la formazione degli associati ed il loro inserimento nella comunità carnevaliera offidana; collabora, nel rispetto della propria identità, con gli altri gruppi organizzati.
Finalità preminenti dell’associazione sono :
• Curare la maturazione dei soci attraverso adeguati corsi di partecipazione;
• Promuovere il culto carnascialesco, la devozione all’Ophys ed al dio Bacco;
• Esplicare l’attività con opere di luculliana ed epicurea memoria;
• Visitare il simulacro dal 17 gennaio fino allo scoccare della quaresima;
• Esercitare simposi enogastronomici;
• Promuovere adeguate iniziative per la difesa e la valorizzazione delle tradizioni locali;
• Prendere parte in solenne corteo e in divisa, con accompagnamento musicale, alle seguenti manifestazioni: la domenica dedicata all’amicizia, la domenica antecedente l’ultimo di carnevale, il lunedì vigilia e il martedì, sfilando innanzi al corteo dei “velurd”;
• Conferire ogni anno l’onorificenza di Gran Carnevaliere.

Nella giornata dedicata all’amicizia e il lunedì vigilia di carnevale, vengono approntati lauti banchetti, secondo le intenzioni dei membri e fiancheggiatori che vi partecipano. Possono associarsi alla Congrega uomini di buona condotta carnascialesca. Gli aderenti si dividono in membri optimus jure e membri di devozione denominati fiancheggiatori. Per il buon andamento dell’attività della Congrega sono individuati diversi incarichi e uffici, tra cui l’alfiere responsabile dello stendardo, il ciorpentoforo addetto e responsabile del sacro scrigno, il segretario, l’economo cassiere, l’automedonte, i maestri di canto e musica strumentale, i cuochi e delegati per approvvigionamenti enologici e gastronomici.
Il suo motto è: “Castigat ridendo mores” (La commedia e la satira, spargendo ironia e ridicolo sui vizi e i difetti umani, sono un apporto importante per la riforma dei costumi).

Ad Majorem Ciorpentiis Gloriam

contatti: alberto.premici@gmail.com

altre FOTO dalla pagina Facebook della Congrega del Ciorpento – 1948


IL BOVE FINTO DI OFFIDA NEL 1800: tra proibizioni e permessi (prof. MARA CITTADINI)


ALCUNI PROTAGONISTI DEL CARNEVALE OFFIDANO

(inviate le foto, vecchie o nuove, del vostro gruppo a: offidainfo@gmail.com)


ATTIMI DI EPOPEE – VIDEO


Il Carnevale di Offida (pdf)

estratto dal romanzo storico “Maddalena, profuga per sempre“, edizione Andrea Livi Editore – per gentile concessione dell’autrice, Dott.ssa Graziella CARASSI – (RIPRODUZIONE VIETATA)


promo

IL CARNEVALE E LA SUA STORIA

per gentile concessione del compianto Dott.Vitale Travaglini

© Offida.info – RIPRODUZIONE VIETATA

L’origine del carnevale, che si perde nella notte dei tempi fra tradizioni pagane ed istituzioni della Chiesa cattolica, è difficile, se non impossibile, da rintracciare. Bisogna così soffermarsi per una collocazione temporale delle feste e dei divertimenti, sulle informazioni fornite da cronache, statuti ed avvenimenti, risalenti ad un determinato periodo. All’inizio del 1500 il carnevale, che era assurto al massimo splendore in grandi città come Roma, Firenze, Torino e Venezia, cominciò a diffondersi anche in molte altre località. Il carnevale che si svolge in Offida possiede tale pregevole dimensione storica di longevità plurisecolare, documentabile fin dal 1500.

Il capitolo sette degli STATUTA OPHIDANORUM (statuti di Offida) riguardava – De ferys imponendis et dilationibus cadentibus in ultima dia feriata (le ferie e le dilazioni che cadono nei giorni festivi)- e prescriveva quanto segue: – Iura civilia infrascriptis diebus,e temporibus reddi proibhemus, nisi,aliud aliquod disponeretur,vidilicetà.. omissis in die CINERIS,in die IOVIS PINGUIS (se non è previsto diversamente da qualche statuto, è proibito amministrare la giustizia nei seguenti giorni…omissis ..nel giorno delle CENERI e del GIOVEDI’ GRASSO)-.

Non vi era un accenno diretto al carnevale, ma si concedeva una vacanza per il giovedì grasso, affinché le autorità ed i funzionari avessero facoltà di partecipare ai divertimenti e festeggiamenti popolari,che si celebravano in quella giornata. Si devono supporre varie e gaie forme di svago che terminavano il martedì, giorno non festivo, come lo è oggi.

E’ evidente poi che il mercoledì e il giovedì, a quei tempi, erano dedicati in Offida al trattamento di questioni giudiziarie. Negli statuti redatti nel 1524, furono trascritte disposizioni orali risalenti a periodi precedenti, per cui l’inizio dello svolgimento del carnevale in Offida potrebbe essere datato ai primi anni del 1500, dopo la fine della peste del 1507. I sopravvissuti a questo triste evento morboso cercarono, così, di ricrearsi lo spirito, allontanando le tante preoccupazioni che li assillavano.

Quando si vorrà celebrare ricorrenza dei cinque secoli del carnevale si potrà tener conto di una data storica certa, il 1524, anno della redazione degli statuti offidani. Una successiva notizia sul carnevale viene fornita da padre Andrea Rosini (Offida 1595-Ancona 1668), frate minoritario cappuccino, nel libro COMPENDIOSO RACCONTO HISTORICO DELLA TERRA DI OFFIDA.

Al capitolo 38° – Del Sacro Monte di Pietà del Frumento – riferisce che i due ministri di questo istituto, fondato nel 1532 dal sig. Rocco Abbate, distribuivano il grano, ai poveri, quattro volte l’anno: per la semina, per il Natale, per il carnevale e per la Pasqua. La pubblica assistenza non faceva grande distinzione tra le feste religiose tradizionali e la manifestazione profana del carnevale che si può pensare fosse particolarmente sentita dal popolo, tanto da destinare, ai non abbienti, il grano necessario anche per la confezione di qualche specialità dolciaria dell’epoca.

Nel corso del secolo il divertimento carnevalesco andò man mano sempre più sviluppandosi e si affermò nella tradizione locale e nel costume della cittadinanza offidana. L’attività carnevalesca degenerava purtroppo in azioni irreprensibili da parte di soggetti mascherati. Al riguardo esiste, nell’archivio di stato di Ascoli Piceno (OFFIDA/atti civili) l’ordinanza seguente (prof. Emidio Santoni). Teofilus Floridus Potestas die 30 Jannuary 1581.

Da tale documento si apprende che, per il carnevale, il popolo si copriva il volto con maschere, si applicava baffi e barba finti ed usava travestimenti di varie fogge. Non erano certo forme di festeggiamenti grandiosi o sfarzosi, ma in un dato modo soddisfacevano il desiderio di divertimento della cittadinanza, prima del periodo quaresimale.

La storia, l’arte, la cultura, tra loro collegate, da sempre, hanno dato decoro, forza, lustro e suggestione ad una città. Offida ha la prerogativa di poter aggiungere a questi inestimabili valori, feste di carnevale che ripropongono uniche, singolari ed affascinanti manifestazioni tramandateci dai tempi passati.

Piace mettere in evidenza che la prerogativa principale del carnevale di Offida è stata quella di proporre, nel corso dei secoli, sempre nuove forme carnevalesche, che non solo hanno arrecato svago e spensieratezza ma, per la loro peculiarità, sono riuscite ad esaltare connotazioni, caratteri e spirito d’iniziativa, proprie della nostra gente.

Inoltre il desiderio di divertirsi e la passione per i festeggiamenti, uniti ad un certo orgoglio e coscienza civica, sono stati e sono tuttora una costante importante della nostra comunità. Nonostante la concomitante concorrenza con il carnevale di Ascoli Piceno, città storicamente ostile, le caratteristiche feste carnevalesche offidane hanno mantenuto la loro tradizione ed organizzazione, trovando linfa vitale nei valori di cultura e di costume della propria terra.

Perciò man mano il carnevale è diventato ricco di contenuti e permeato di sentimenti volti alla ricerca di forme ricreative nuove ma confortevoli e brillanti, che tuttora lo caratterizzano, come i velurd, la caccia al bove finto e le congreghe con le loro divise e stendardi.

Il carnevale di Offida può essere definito “storico” poiché è realmente documentato come successione cronologica di avvenimenti, fatti, personaggi, nell’ambito della comunità locale, fin dal 1500, come già detto.

Questa pregevole dimensione di vetustà plurisecolare, porta più lustro e fascino ai numerosi valori che caratterizzano il nostro carnevale da quelli tradizionali a quelli innovativi e recenti. All’antico carnevale cinquecentesco è seguito un crescendo fantastico e spontaneo che lo ha vitalizzato con forme di divertimento impensabili, spiritose, originali e fortuite.

Ai giorni nostri possiamo rallegrarci di una ben riuscita integrazione tra il bello caratteristico del passato e le felici innovazioni proposte da un progresso, certamente inevitabile ma sempre bene accetto.

UN CARNEVALE VENUTO DAL PASSATO

E’ piacevole pensare che una manifestazione bella e divertente, come il nostro carnevale, sia esistita da sempre e che, per tutte le numerosi generazioni che ci hanno preceduto, vi sia stata l’opportunità di divertirsi. La storia, però, che è un susseguirsi ordinato di date e di avvenimenti, rende veritiera e reale l’immagine del nostro carnevale dal 1500 ai giorni nostri: alle generazioni che ci hanno preceduto va la nostra profonda gratitudine per aver saputo conservare e tramandare una manifestazione splendida ed affascinante, arricchendola, sempre più, attraverso i secoli.

IL CARNEVALE NEL 1500

Un primo cenno sul carnevale in Offida ci viene fornito da padre Andrea Rosini (Offida 1595 -Ancona 1668), frate minoritario cappuccino, nel libro COMPENDIOSO RACCONTO HISTORICO DELLA” TERRA DI OFFIDA, alla pagina 194 del capitolo 38mo -Del Sacro Monte di Pietà del Frumento -. I due ministri di questa istituzione, fondata nel 1532 dal sig. Rocco Abbate, distribuivano il grano quattro volte l’anno: nel mese di ottobre, per la semina; per il Natale, per il carnevale e per la Pasqua. La notizia, alquanto breve e fugace, presenta aspetto interessante per una datazione temporale del carnevale in Offida. Inoltre permette di desumere che, a quell’epoca, la manifestazione carnevalesca era sentita dalla comunità locale alla stregua delle festività natalizie e pasquali, tanto da essere generosa verso le categorie dei non abbienti, perché, merce un modesto aiuto alimentare, potessero godere delle gioie del carnevale.

IL CARNEVALE nel 1600

Sullo svolgimento del carnevale in Offida ci viene data, ancora, notizia da padre Andrea Rosini, al cap. 33mo -De’ Particolari Guerrieri famosi nativi di Offida -, ove narra la vita e le gesta di Baldassarre Baroncelli (1380 circa – 1436 circa). In conclusione scrive quanto segue: In questo si famoso Eroe l’ombra divenuta comica per opra del Sig. Francesco Franchi, fece il prologo in una commedia recitata in Offida in occasione del Carnevale dell’anno 1634 con accenti musicali alla presenza dell’Emin. Sig. Card.le Gabrielli Vescovo d’Ascoli, nel quale compendiò le sue meravigliose prodezze. Un tale monologo introduttivo non appare affatto di contenuto comico- burlesco, bensì un accorato appello alla cittadinanza a vivere in pace ed adoperarsi per la prosperità della loro città. E’ questo un bel messaggio che ci viene inviato dai nostri antenati che, anche in tempo di carnevale, trovavano l’opportunità in un periodo di lotte intestine, di invitare i cittadini alla concordia e rispetto reciproco.

BREVE CONSIDERAZIONE

Si può pensare, alla luce di queste documentazioni, che il carnevale d Offida fosse una festa già radicata, nella popolazione, fin dal 1500, poiché sembra di poter arguire l’esistenza di qualche organizzazione e programmazione, desumibili dall’elargizione di grano, dalla presenza del Vescovo di Ascoli e dalla rappresentazione di una commedia burlesca.

Il carnevale offidano di quei tempi era, verosimilmente, uguale a quelli che si svolgevano in altre località. Si privilegiavano rappresentazioni teatrali che, per motivi di ordine pubblico, dovevano svolgersi di giorno e terminare all’Ave Maria, poiché erano ritenute educative e formative.

Inoltre servivano a distogliere gli animi dai feroci e sanguinosi odi di parte, favorendo così la pacificazione e la tranquillità. Non mancavano le mascherate: la povera gente si copriva il viso con fuliggine o farina. Per chi poteva permetterselo la foggia delle maschere era ispirata a fatti o avvenimenti accaduti durante l’anno. Le donne, poi, niente affatto terrorizzate dalle incursioni saracene nelle nostre zone, non disdegnavano vestirsi alla turca (sultane, odalische o circasse). Una poesia dell’epoca suona così:

Ecco la mia bellissima guerriera,

trovando al suo rigor conformi spoglie,

entro fascie barbariche raccoglie

dattorno e bianco lin la chioma altera.

Le autorità paventavano che sotto la copertura della maschera si potessero commettere reati e perciò rafforzavano la vigilanza. In taluni statuti erano previsti raddoppi di pene ed ammende per misfatti perpetrati durante lo svolgimento del carnevale.

Può essere fatto risalire a questo periodo l’uso d’indossare, durante il carnevale, il -GUAZZARO’ -, che era una specie di tunica che contadini ed artigiani si mettevano addosso durante il lavoro. Nel 1600 cominciarono pure a diffondersi la danza saltata (saltarello), il ballo in maschera ed il ballo pubblico. In questo secolo può essere avvenuta l’introduzione deì VELURDE, che erano usati per l’illuminazione serale del Palio dell’Anello.

Si deve, però rilevare che nel 1500 e nel 1600 imperversarono, in Italia terribili epidemie di peste ed in tutta la nostra penisola scorrazzavano milizie straniere, mentre i vari signori si combattevano fra loro.

Le festività carnevalesche, come si è verificato in epoca recente, non venivano affatto celebrate quando accadevano queste calamità. Certamente il carnevale in Offida conobbe lunghi periodi di interruzione che non danneggiarono la tradizione, ma la rafforzarono e l’abbellirono. Per grandi linee e sulla scorta di valida documentazione, è possibile una collocazione temporale e storica, fin dal 1500, del carnevale offidano, originato dal giusto desiderio di svago dei nostri avi prima della quaresima.

IL CARNEVALE nel 1700

L’Italia, nel 1700, cominciò a godere di un periodo di relativa pace e tranquillità, poiché le milizie straniere non scorrazzavano più su e giù per la penisola. La popolazione poteva perciò dedicarsi al lavoro ed alla produzione, che portarono ad un confortevole miglioramento delle condizioni economiche.

Scomparvero anche le tristemente famose epidemie di peste, per cui il numero degli abitanti cominciò ad aumentare. In Offida questo nuovo modo di vivere è percepibile ed apprezzabile nella progettazione e realizzazione di importanti opere pubbliche per il decoro del paese e l’interesse della collettività. Si svilupparono attività artistiche e culturali ad opera di Fernando Fabiani e dei pittori Bernardi e Carlini. Fiorì anche un’interessante scuola di musica, tenuta da Giuseppe Sieber, musicista cecoslovacco, stabilitosi in Offida, poiché aveva sposato Maria Carlini, figlia del pittore. Morì nel 1801, all’età di 47 anni. La sua opera fu tanto apprezzata e per riconoscenza venne intitolata “Via della Musica ” la strada in cui risiedeva. Quasi a cento anni dalla morte Guglielmo Allevi ricorda: “le armonie patetiche che trae dal suo legno il Sieber”.

In questa situazione economica favorevole e su un substrato culturale cittadino radicato e fecondo, non è possibile immaginare che i nostri avi non abbiano coltivato la tradizione delle feste carnevalesche.

Fino ad ora non sono stati rinvenuti documenti attestanti lo svolgimento del carnevale nel 1700, ma a confermarne la continuità e la passione stanno la vitalità e la peculiarità di due manifestazioni che tuttora caratterizzano il nostro carnevale, documentate all’inizio dal 1800: li “VELURD” ed il “BOVE FINTO”.

IL CARNEVALE nel 1800

Possiamo desumere lo svolgimento del carnevale nel 1800 da scritti e documenti importanti e, nel contempo, interessanti poiché riescono a fornire una buona visione delle varie manifestazioni tradizionali e la nascita di un nuovo e fantasioso divertimento, destinato a caratterizzare un’epoca: il SERPENTE.

I VELURDE compaiono in una documentazione del 22 Febbraio 1814; il BOVE FINTO in quella del 22 Gennaio 1819. Di essi scriverò, ampiamente in capitoli a parte. Notizie ampie e complete vengono fornite nelle cronache del settimanale locale OPHYS, pubblicate dal 1891 al 1896, che riporto integralmente. Il divertimento del SERPENTE ebbe inizio in epoca imprecisabile, ma è documentabile fin dal 1892.


NOTA : Qualcosa di simile si svolge a Pitigliano (GR) durante la Torciata di San Giuseppe nella notte del 19 marzo, quando in Piazza del Comune si brucia un gran falò, usanza di origini Etrusche per l’equinozio di Primavera. Il rituale era semplice in quanto composto solo da un grande falò con cui metaforicamente si bruciava l’Inverno per entrare purificati nella Primavera. Gli Etruschi univano questa usanza con il rito del sotterrare il seme ovvero al momento della semina. Queste tradizioni della terra erano talmente radicate che ne Roma prima ed il Cristianesimo poi riuscirono ad eliminare. Nel medioevo, al momento della creazione della festività, di San Giuseppe, il rito pagano fu totalmente assorbito nella tradizione Cristiana diventando quindi un unicum religioso.

In altre cittadine, proprio il giorno del martedì di Carnevale, si è soliti concludere le manifestazioni con un gran falò come a Campitello di Fassa, Pescarolo, Monticiano, Castrovillari (falò del Re Burlone), e molti altri ancora.

Per scoprire le origini bisogna retrocedere nel tempo fino alla Preistoria, quando si sviluppa la tradizione di bruciare un fantoccio a forma umana come rituale magico per scacciare la cattiva stagione e invocare l’arrivo della primavera. La vecchia è un fantoccio creato con rami e paglia: in qualche caso il fantoccio viene anche abbellito con vestiti, per rendere l’immagine della vecchia più reale. Nel Paleolitico e nel Neolitico era un rito di fertilità e di fecondità; mentre per i Romani un rito propiziatorio per iniziare bene l’anno. La vecchia rappresenta la miseria, la fame, le disgrazie e il darle fuoco è bene augurante per il futuro.

(Alberto Premici)

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L‘ERA FANTASTICA DEL MITICO RITO DEL SERPENTE

Guglielmo Allevi, studioso offidano, vissuto nel secolo passato, nelle sue pubblicazioni – OFFIDA PREISTORICA (1889) -ed -ALLA RICERCA DI TEMPIO DELL’OPHYS (1896) – descriveva i resti di un tempio pagano da lui scoperti nei dintorni di Offida. Pensò che fosse dedicato al nume OPHYS, che in greco significa SERPENTE, divinità tutelare del luogo, e da cui etimologicamente, si presume, derivasse il nome di OFFIDA. Questa scoperta portò pure ad intitolare Corso e Teatro comunale col nome di SERPENTE AUREO.

Da questo periodo cominciò forse ad entrare nella fantasia popolare, il concetto fallico del serpente (in dialetto offidano: ciorpente o cerpente), trasferito poi come simbolo virile nelle feste carnevalesche. La comparsa documentata risale al martedì grasso dell’anno 1892 e fu così descritta da un cronista locale dell’OPHYS: “Un tempio dentro il quale ergeva la sua superba cervice un serpente, ravvolto a spire”.

Così un’importante scoperta archeologica è stata una fortunata occasione per arricchire il carnevale offidano di una nuova, allegra ed allusiva manifestazione che, col passare degli anni, si è man mano, sempre più affermata nello spirito e nell’ambiente offidano, dando luogo a singolari e burleschi espressioni personali e collettive, che descriverò più avanti. La triade bove finto, velurde e ciorpento, ha contribuito a dare un nuovo impulso al carnevale di Offida in modo da renderlo più affascinante, godereccio e soffuso di una particolare e fantastica atmosfera, percepita e gradita a tutti.

IL SIGNIFICATO DEL CARNEVALE

In genere viene indicato col nome CARNEVALE il periodo di tempo che intercorre tra il 17 Gennaio (festa di S.Antonio abate) ed il primo giorno di quaresima. In pratica, però, le principali manifestazioni si svolgono negli ultimi dieci giorni e terminano col martedì grasso, che precede la festività delle Ceneri, inizio, per i cristiani, di un periodo sacro di quaranta giorni, in preparazione della solennità della Pasqua, chiamato Quaresima (dal latino quarantena).

In questi quaranta giorni, che ricordano, nel numero, quelli del digiuno di Gesù nel deserto, i cattolici si dedicano alla preghiera ed ad opere di carità, associate a digiuni, penitenze e mortificazioni. L’uso di osservare la quaresima è documentato dopo il concilio di Nicea (325 d.C.), ma forme di digiuno venivano praticate anche in periodi precedenti.

Il martedì grasso non cade in una data fissa, ma varia in relazione alla ricorrenza della festività pasquale. Durante la stagione del carnevale la gente si prende svaghi con privati e pubblici divertimenti, costituiti da manifestazioni burlesche, scherzi, baldoria e mascherate varie.

L’etimologia della parola “carnevale” è incerta: secondo alcuni deriverebbe da -carne (le) vare-, con dissimilazione della seconda r in l, poiché, dopo tale periodo, è proibito cibarsi con la carne in alcuni giorni della settimana. Si crede, con fondamento, che il carnevale tragga origine dai saturnali, feste, nell’antica Roma, in onore di Saturno, dio delle seminagioni.

Furono le feste più popolari e diffuse fino all’avvento del cristianesimo e si celebravano dal 17 al 23 dicembre. La parte ufficiale consisteva in un solenne sacrificio nel tempio della divinità, seguito da un pubblico banchetto, durante il quale i partecipanti si scambiavano auguri di benessere e prosperità.

Nei banchetti privati, tra parenti ed amici, che si concludevano in mascherate, farse e vere e proprie orge, era consuetudine lo scambio di doni di ogni genere. Gli schiavi godevano della più ampia libertà ed i padroni imbandivano un banchetto anche per loro. L’affermazione del cristianesimo non comportò la scomparsa dei riti pagani, che continuarono a sopravvivere nel cerimoniale cattolico. Nel Medioevo e nel Rinascimento i festeggiamenti carnevaleschi raggiunsero il più grande splendore a Venezia, Firenze e Roma, ove si svolgevano svariate ed allegre manifestazioni, che si concludevano con festose mascherate su carri allegorici infiorati.

Attualmente diverse forme carnevalesche hanno ripreso a fiorire, rinnovando tradizioni locali. In diverse città, poi, si organizza il carnevale nel periodo estivo, con lo scopo di favorire o incrementare il turismo.

Il carnevale che si celebra in Offida ha una dimostrabile tradizione storica ed è animato da caratteristiche manifestazioni che, per, la loro peculiarità, rendono vivaci, gai e pittoreschi i giorni di svago, di baldoria e di scherzi. La singolarità di taluni divertimenti popolari, che, senza dubbio, sono da riportare ad un sostrato culturale del passato della nostra comunità, riesce a far sì che il carnevale di Offida venga considerato come un periodo di vero svago sia per gli adulti che per i giovani del luogo e della zona picena.

La concezione del carnevale è profondamente radicata nella popolazione offidana, tantoché le feste carnevalesche tendono ad avere un carattere di ritualità, che permea l’intera città. Anche se si respira un’immancabile aria di modernismo, specie nella musica e nei balli, la memoria storica del carnevale, in quelle sue tradizioni particolari, rimane e cerca di perpetuarsi nelle nuove generazioni. Offida è una città che può vantare tradizioni artistiche importanti, ma il tema del carnevale non è stato mai trattato in opere pittoriche o letterarie.

LE MANIFESTAZIONI CARNEVALESCHE IN OFFIDA NELLA CRONACA DEL SETTIMANALE LOCALE OPHYS

Il 3 Dicembre 1891 iniziò, in Offida, la pubblicazione del settimanale OPHYS, diretto da Guglielmo Allevi, che si avvaleva di collaboratori locali: avv. Edoardo Guarnieri, avv.Giuseppe Rosini e del dott. Antonio Marchionni. In questo periodico, che rimase in vita fino al 9 Gennaio del 1897, furono riportate le manifestazioni del carnevale di quegli anni, che si possono rivivere, oggi, attraverso gli scritti, spesso vivaci e coloriti dei cronisti dell’epoca.

Quanto è riportato nelle colonne dell’OPHYS costituisce una documentazione importante, oltre che interessante, sullo svolgimento del carnevale, nella nostra città, sul finire del secolo passato. Per tale motivo ne riporto integralmente il testo ad iniziare dall’anno 1892.

CARNEVALE anno 1892

Il 31 Gennaio fu pubblicata la seguente notizia. –Il comitato per il carnevale sta preparando un allegro programma di feste, dove, a quanto pare, avranno il loro posto veglioni in teatro, festival in piazza, lotterie, gare umoristiche, premi per le migliori mascherate ed altri pubblici divertimenti. Allegria fa buon sangue.-

Vi furono due feste da ballo descritte dal reporter nel seguente articolo. -Di feste da ballo ne abbiamo avute due degne di essere menzionate: una, magnifica, in casa Cipolletti. L’altra al circolo cittadino, che riuscì splendida. Intervennero molte signore e signorine, ne cito alcune: la contessa De-Castellotti in decolletes con toilette noisette-blanche e con un magnifico collier di brillanti.

La signora Enrichetta Tilli con un superbo abito decolletes rouge-ardente con crepes e petites dentelles di seta che avvolgevano la sua giunonica persona.

La signora Tinelli con un simpatico vestito decolletes bianco proccont, stile impero.

La signora Giuseppina Tilli con un elegante vestito rosa-pale, pure esso decolletes. La simpatica marchesa Odoardi elegantemente vestita in faille-nero. La signora Ciarrocchi in abito color crema-faucee. La signora Terrani in abito di seta nera letteralmente coperto di denutelles. La simpaticissima signorina Ercolani in abito color nocciola chiaro. Erano presenti, inoltre, a questo bel divertimento, le signorine: Mercolini, Carosi, Neroni, Allevi, Terrani, De-Santis ed Anselmi -.

Così viene descritto il carnevale del martedì grasso: “Le maschere? a bizzeffe, a miriade sbucavano di qua, di là, da tutte le parti. Degne di essere ricordate sono: un carro rappresentante un tempio, dentro cui ergeva “la sua superba cervice un serpente, ravvolto a spire”.

“Due superbe Patagone. Dodici bellissime ragazze rappresentanti le costellazioni ma le più belle erano quelle che rappresentavano l’Orsa Maggiore, tanto che cominciai a cantare col Leopardi: vaghe stelle dell’orsa. Regresso e Progresso fu pure una mascherata indovinata. Magnifica quella che rappresentava Apollo. Elegantissime due spagnole. Formose due trasteverine. Superba la figura di Beatrice”.

Il 28 Febbraio fu pubblicato il seguente articolo dal titolo: REPORTER in GIRO.

-Sapete voi che si prova una grande soddisfazione a fare il reporter d’un giornale, sia pure settimanale, come il nostro? Questa soddisfazione cresce, poi, a dismisura nel carnevale, perché noi diventiamo non solo indispensabili, ma necessari: ed arrogo che in tutti i divertimenti abbiamo sempre il gratuito patrocinio. Verbi grazia, questa sera, io, previo pagamento di L. 2, entro gratis al veglione, mentre voi, cari e fedeli amici dovete pagare centesimi 20 (costo del settimanale). Alla festa da ballo, poi, io sono il benvenuto per tutti (chieggo scusa se dico tutti in genere mascolino, ma io mi debbo strettamente attenere alle regole grammaticali che “l ‘uomo abbraccia anche la donna”). Tutti amorevolmente mi salutano egli inviti mi fioccano da tutte le parti. Io sono diventato, così, come il pomodoro e penetro nelle pauperum tabernas esalanti un odore da fare arricciare il naso anche a chi avesse un solenne raffreddore, fino alle regumque turres, dove i profumi delicati li possono solleticare le nari anche dei più refrattari. Quanto allo scopo non vi ha differenza alcuna, poiché, tanto nei tuguri come nei palagi, il movente è questo: divertirsi, dimenticare, darsi, insomma, in preda alla più pazza gioia. Ma il metodo? Qui dove mi casca l’asino. Guardate: là l’operaia indossa gli indumenti più puliti, si lava le mani e forse anche il collo, checche ne pensi l’amico Basilio, e si diverte e balla al pallido raggio d’una lucerna a mano, che spesso, ahimè, anche quella viene meno; e allora… allora… il cembalo! o il violino, unici strumenti di questi balli popolari, cessano di suonare il tradizionale saltarello, fino a che un indiscreto fiammifero non venga a rischiarare pallidamente le coppie, ancora avvinte dal laccio… di Tersicore.

Qua, invece, signore dalle mani inguantate, sfoggianti abiti vivaci, pieni di fronzoli, di pizzi, di ricami e talvolta perfino in decollettes, mostrando, così, i loro bei colli, i quali, se ad uno scultore possono eccitare sentimenti artistici, a me, invece, non dico bugie, eccitano solo il desiderio di appiccicarvi tanti baci. Oh! Quante volte non ho maledetto quello scintillio di luci e rimpianto la lucerna a mano! Quante volte non ho maledetto i valzer di Strauss, quantunque suonati tanto per benino da una orchestra, e rimpianto lo stridio di un violino! Ma la diversità cresce ancora sul metodo con cui la tua donna pone il suo piede sopra il tuo, ciò che noi chiamiamo pestata. C’è pericolo, per esempio, che in quei balli popolari, la tua compagna, con una pedata, ti porti via mezzo piede, senza che essa ti dica: scusami ti ho fatto male? Anzi mi ricordo di una che mi dette una tale pedata al dito mignolo (che mi viene la pelle d’oca al solo ripensarci) che dovetti fermarmi e gettarmi sopra una seggiola; ed a lei, che ingenuamente mi riguardava: scusi, le dissi, signora se ho avuto l’ardire di mettere il mio piede sotto il suo. Ed ella, seria; oh! niente, niente, faccia pure. Nei balli, diremo così, aristocratici, ad una piccola urtatina di piede, avviene tale un diluvio di scuse, di pardon ecc… ecc… che alla fine tocca chiedere venia a chi ha ricevuto quella urtatina.

Ah! Ma non crediate che io sia stato solo paziente; niente affatto. Anzi posso anche io, vivaddio, esclamare: ne ho ricevute, ma ne ho date! Vi basta questo. Mentre si ballava una mazurka, avendo, per caso, posato, delicatamente, il mio piede sopra la punta dello stivale della mia elegante compagna, di netto glielo portai via. Ma almeno, perdio, riparai a quello incoscio furto, perché, gettatomi a ginocchio, gentilmente glielo rincalzai. Benedetta calpestata.-

Il 13 Marzo comparve il seguente articolo intitolato: IN QUARESIMA

-Auff. ..non ne posso più, e, checche voi pensiate di me, maligni lettori, questa volta non vo soddisfare la vostra curiosità. Voi vi aspettate, forse, che io vi faccia una estesa relazione degli ultimi avvenimenti col titolo di: sgoccioli di carnevale. Forse voi credete che vi parli del veglione che riuscì . Splendidissimo. Forse volete che io vi parli delle grandiose maschere venute alla simpatica festa da ballo. Forse vorreste trovarvi una bella descrizione della pagoda etrusca, pittorescamente illuminata con lampioncini alla veneziana e delle belle e numerose maschere che vi ballavano nel mezzo. Vorreste, forse, la descrizione dei bagordi, che a mille a mille giravano di qua, di là, di su, di giù, portando la luce ed il fumo per tutte le strade; ed, invece, niente di tutto questo. La mia mente vacilla al ripensare a tutte quelle foscaggine di cose, e poi che giovano simili memorie? Non c’è maggior dolore che ricordarsi del tempo felice nella miseria! In compenso, però, vi posso assicurare, senza tema di essere smentito, che ora carnevale se ne è andato, rimpianto da chi sa quante persone, ma da noi cronisti benedetto mille e mille volte. Perché il divertimento è come le paste dolci: poche sono deliziose, molte danno l’indigestione.ì

In Offida non si ballava solo durante il carnevale, come lo si può arguire dal seguente articolo pubblicato il 20.5.1892.

FESTA DA BALLO AL CIRCOLO CITTADINO -Se la festa da ballo, improvvisata martedì scorso nel locale del circolo cittadino, riuscì elegantemente il merito va dato tutto al conte Giuseppe Meroni, direttore di sala impareggiabile il quale, col suo spirito, col suo brio, con la sua multiforme attività, seppe, non ostante la relativa scarsezza delle coppie danzanti, tenere animato e gaio l’ambiente tutta l’intera serata. L’abilità del conte Meroni, quale direttore di sala, fu addirittura fenomenale. Basti dire che sotto il suo magico comando si ballò alla perfezione una quadriglia dalle figure originali e svariatissime, e che disimpegnò bene la sua parte persino l’umile sottoscritto, le cui cognizioni in fatto di controdanza non vanno più in la del balancer e del tour-de-main. Ma il clou della serata fu il ballo Sir Roger, che quantunque nuovo per molti dei presenti, fu, tuttavia, sotto la direzione del Meroni, ballato inappuntabilmente dopo una sola prova. Le danze duravano animatissime ancora alle ore tre e per scioglierle volle una carica di cavalleria rusticana, egregiamente eseguita al piano dalla signora Panichi. Insomma la festa riuscì come meglio non poteva desiderarsi. I nostri rallegramenti ed il nostro plauso alla signora Enrichetta Tilli, alla signorina Marietta Allevi che della geniale serata furono le gentili ispiratrici -.

CARNEVALE anno 1893

Il settimanale OPHYS riportò il 22 gennaio il seguente scritto. –Carnevale ha fatto il suo ingresso trionfale, in quest’anno, con un lusso di geli brillanti e di candido niveo manto che fa piacere e realmente fa molto freddo. Speriamo che l’astro del giorno (ci si permetta la frase poetica) torni far capolino di fra le nuvole per godersi, se non altro, le stupende mascherate che si vanno preparando e la silenziosa Lucina per sorridere ai spensierati e coraggiosi alunni e seguaci di Tersicore. Animo adunque! Ieri nelle sale del Municipio si intrecciarono le prime danze. Affrettatevi adunque, perché il quindici di Febbraio vi attende la polvere e l’oblio. Chi ha tempo non spetti tempo, dice il proverbio.-

29 Gennaio FESTA DA BALLO.

La festa da ballo che il solerte Comitato tenne nella sala Comunale alla sera del 21 corrente riuscì alquanto spopolata, forse, perché la prima. Ciò non ostante le danze si prolungarono sino alle prime ore del giorno appreso. Ieri sera ne fu un’altra e ne diremo nel prossimo numero.-

5 Febbraio. –La seconda festa da ballo nelle sale del Municipio riuscì animatissima e si protrasse alle ore quattro del giorno appresso. Grande concorso di maschere, mascherine e mascheretti. Vi erano delle bellissime, ma ne tacciamo, i nomi per due ragioni: prima, perché molte non ne abbiamo riconosciute; secondo, perché potremmo dimenticarne qualcuna ed abbiamo interesse a non farci cavare gli occhi nella futura serata. Per finire: ammiratissimo il giovane elegante, instancabile ballerino, cui dobbiamo l’addobbo della sala, veramente indovinato. Un mio vicino indicandolo diceva: vedi? Balla per due! Come sarebbe adire? -Lui e… il poncino -Ho capito! Ma allora rettifico: dì pure per quattro dozzene.-

12 Febbraio. –Quest’anno, poi, i divertimenti crescono come pesci nelle mani di Gesù alle nozze di Canaan: feste da ballo pullulano da tutte le parti. Il mio ufficio sarebbe troppo oneroso se vi dovessi parlare di tutti i piccoli divertimenti di fami- glia, che sono riusciti deliziosissimi ed attraentissimi; ed è per questo che mi sono prefisso di fare un resoconto sommario dell’ultima settimana di carnevale. Stralcio dal mio taccuino quanto segue.

SABATO 4 –Nevica ed io sento molto freddo. Pur tuttavia una grande affluenza di persone al veglione tenuto alla sala Comunale. Bellissime le mascherine. Si notò una deficienza del sesso mascolino, ma la festa riuscì imponente ed il divertimento si protrasse fin dopo le quattro del mattino e forse (chissà) anche dopo. Un tale, poi, si lagnava, voglioso di ballare, che le suonate erano troppo brevi e troppo poche. Sfido io! Star sempre con l’istrumento in mano, con quel freddo, ci voleva del coraggio.

DOMENICA 5- Rappresentazione di una commedia con farsa al teatro, per cura di alcuni dilettanti. Dico dilettanti per modo di dire, ma dovrei dire artisti valenti se si deve aver riguardo agli applausi ed all’incasso fatto; ed invero le parti dei tre baggei furono squisitamente interpretate; ma il brillante riportò la palma della serata. Non parlo delle donne, perché il Vice Reporter ha, nel passato numero, interpretato il pensiero del pubblico. Mentre si rappresentava la commedia, un freddurista, osservando i due amorosi della compagnia, che viceversa, poi, sono due impiegati, con tono grave disse: Vedi, qua si è riuscito a quanto il nostro Municipio non è potuto in tanti anni riuscire -Come? Osservai io. -Già, hanno riunito Poste e Telegrafi.

LUNEDI’ 6 –Grande discussione al circolo sulla questione bancaria: molti sono per la banca di Stato, io solo per la libertà delle banche: perché preferisco fare il versamento dove più mi garba; dove più mi piace. Ma la questione venne interrotta dal getto di confetti e fagiuoli.

MARTEDI’ 7- Corso poco animato, ma poche maschere e, per contentino, un gran freddo. Mi ritirai a casa.

MERCOLDI’ 8- Corso molto animato, ma poche maschere. Il trimmulierato porta, però, il brio ed anche qualche scapaccione a tutta quella falange di marmocchi che si assiepano d’intorno. Alla sera andai a ballare.

GIOVEDI’ 9- Carnevale soffre d’anemia, ne è sufficiente tutto il ferro-china Bisleri per rinsanguarlo. Però la festa da ballo riuscì splendidissima. Molte le signorine, di cui tralascio il nome sulla punta della penna, per non commettere peccati d’escitanza. Le mascherine poche, ma belle. Una coppia rappresentante la Croce Rossa, così carina che don Alessandro, il quale ha un vizio cardiaco, aveva deciso sottoporsi alla loro cura più che quella dei Baccelli, dei Murri ecc…ecc… Una bella e ricca mascherata era quella rappresentante il dio dell’oro possente signor -Stupende due… come chiamarle, cavalli marini: candidi no, ma più che neve bianchi, di cui si richiede il bis. Non mi ero accorto che io, il Vice Reporter ed il Cronista giravamo intorno come la luna intorno alla terra. Indovinate che era! Due incantatrici di serpenti che avevano ammaliati i redattori dell’OPHYS. lo me ne fuggì e così, credo, anche il cronista, ma vi posso garantire che il Vice Reporter è rimasto accalappiato da una di esse e che non se ne libererà per tutta la vita.

VENERDI’ 10- C’era una volta la caccia al toro. Figuratevi una testa di toro di carta pesta, due corna appiccicate sopra, per groppone un coperchio di un baule e, sotto, un uomo che fingeva di ruggire. Quattro o cinque persone, con la camicia di fuori, con un fazzoletto rosso al collo, rappresentavano i torreadores.

MARTEDI’ 14- Nel dì di carnevale, poi, ammiratissimi furono: la tuba del cronista -Lo zelo indefesso nel suonare i piatti di una vaga donna (che poi era un maschio) -Le sbornie dei componenti la mascherata della Croce Rossa, i quali, invece di soccorrere gli ubriachi cadenti, furono, invece, rimorchiati ciascuno da due persone. Alla sera, verso l’Ave Maria, tutti con lo storico Guazzarò andavano in gruppo o a soli, girando, per le vie della città, portando sulle spalle il non meno storico Velurde, che, a loro volta portavano luce… e fumo. Un’ora dopo tutto era finito e nella città la quiete, la calma regnavano di nuovo sovrane. Solo, di tanto in tanto, si udiva il fruscio di una scopa insieme ad una cantilena, che non potei ben comprendere se mesta o allegra. Erano quelli addetti alla nettezza urbana, che fedeli agli ordini ricevuti, compivano la loro funzioni. Infine un amico saluta il fontaniere del comune che ama l’acqua sol perché fa prosperare la vite, e gli dice: -Embè, tu non fa come nu? -lo sono fedele Ma lu sacce che ti chiame Fedele.- Ma io sono fedele agli ordini ricevuti dal Sindaco. Infatti il povero fontaniere aveva ricevuti ordini categorici dal F.F. di Sindaco di star sempre in guardia nel caso che avvenisse qualche incendio. Ma non ve ne fu bisogno. E fu molto meglio.-

CARNEVALE anno 1894

Il cronista preannuncia la preparazione del programma delle feste carnevalesche con questo articolo pubblicato in data 14 gennaio e recante il titolo:

PRELUDI DI CARNEVALE.

Per chi non lo sapesse, il carnevale del 1894 termina col 6 Febbraio. Il proverbio dice che chi ha tempo non aspetti tempo: in quest’anno, adunque, che il tempo per il divertimento è così limitato, non solo non conviene spettar tempo, ma bisogna cominciare subito, subito addirittura.- Coraggio e avanti. AI Circolo Cittadino, probabilmente, si avranno due feste da ballo. Non mancheranno, speriamo,i consueti corsi di maschere ecc. ecc… Probabilmente le feste furono modeste, tanto da non meritare l’attenzione del cronista, che non riporta alcuna notizia sullo svolgimento del carnevale nelle edizioni successive del settimanale OPHYS.-

CARNEVALE anno 1895

Il 24 Febbraio viene pubblicata questa breve nota. –Grazie alla tregua concessaci per pochi giorni, dall’imperversare della sta- gione, il corso delle maschere di Giovedì passato ha messo un pò di risveglio nella sonnolenza del carnevale di quest’anno e così i bontemponi troveranno modo di divertirsi prima che arrivi la quaresima. Mercoldì ed ieri, sabato, nelle sale del palazzo Cipolletti, gentilmente concesso dal signor Mercolini e dalla sua signora, Maria Tinelli, in forma tuttaffatto private, si tennero feste da ballo riuscitissime per concorso di eleganti signore e per brio e l’animazione che vi regnarono. Lunedì ancora un’altra e poi dalla cipria. ..alle ceneri, belle signore.-

Il 3 Marzo segue il seguente commento al carnevale. –Anche il carnevale del 1895 se ne è andato, e, per molti senza rimpianti. Pochi sono stati a divertirsi e quei pochi non si sono divertiti granchè. Sembrava che, la pesantezza del cielo plumbeo dei passati giorni si rispecchiasse sulla terra. Sarà, forse, anche che il carnevale ha fatto il suo tempo e sarà pure che la miseria non ammette allegria. Non per nulla gli antichi romani, maestri di sapienza in tutto il mondo, promettevano il panem et circenses ed è certo che quando non si ha l’uno gli altri si trascurano. Poche maschere, quindi, negli ultimi giorni della stagione carnevalesca e nell’ultima sera, poi, pochissimi dei tradizionali “velurde”.-

Il 1895, come traspare dalla cronaca carnevalesca, fu un anno triste e per freddo, carestia e miseria. La Congregazione di Carità, che su proposta del dott. Basilio Mercolini si era dotata di una cucina per “refezione collettiva”, riusciva a fornire oltre 120 primi piatti alla popolazione, cui scarseggiava, secondo il cronista, anche il pane.

Col 1895 terminarono, purtroppo i resoconti sul carnevale. Il settimanale OPHYS, che dal mese di ottobre fu diretto dal dott. Antonio Marchionni, proprietario, in Offida, di un’avviata “bigattiera” per attività bacologica, iniziò a trattare solo argomenti inerenti la produzione e commercializzazione del baco da seta insieme a quelli d’interesse agricolo. Il cambiamento d’indirizzo nei confronti delle precedenti edizioni fu, dovuto forse agli scontri verbali e scritti avvenuti, in quell’anno, tra la fazione favorevole al candidato conte Giuseppe Sacconi e quella avversa, durante le elezioni politiche del 26 Maggio. Le divergenze fra i redattori dell’OPHYS (contrari) e Guglielmo Allevi (favorevole) sfociò in una sfida a duello fra il dott. Basilio Mercolini e lo stesso Allevi, che il 12 Maggio iniziò a pubblicare un suo settimanale -IL TORRENTE LAVA -..

IL CARNEVALE DESCRITTO DA GUGLIELMO ALLEVI

I cronisti del settimanale OPHYS hanno mostrato un carnevale aristocratico, godereccio e in sintonia con i tempi e le esigenze della società di un secolo fa. Ho creduto, perciò, opportuno riportare il capitolo -I BAGORDI – in “A Zonzo per Offida” di Guglielmo Allevi. L’autore cerca di evidenziare gli aspetti squisitamente popolari della manifestazione dell’ultimo giorno di carnevale, proponendo, inoltre, interpretazioni legate a baccanali ed altri rituali dell’antichità. Trascrivo le parti più salienti e dimostrative del capitolo,da apprezzare per lo stile espressivo, accompagnato da una straordinaria proprietà e felicità di linguaggio e bellezza d’immagine:

E’ il pomeriggio dell’ultimo dì di carnevale: da ogni crocicchio, da ogni strada, da ogni chiassuolo, sbucano a tre, a quattro, a piccole brigatelle uomini bizzarramente camuffati; si uniscono agli altri, si affollano, ingrossano, inondano la città, borghesi, popolani, giovani, vecchi, fanciulli, ed è raro il caso che non vi si noti qualche donna più o meno gentile, rimasta a farci fede, come in antico anche il bel sesso prendesse parte alla festa del fuoco. Hanno indosso camiciotti bianchi, lunghi a mezza gamba, che il nostro popolo del contado usa nell’inverno col nome di guazzone; la testa caccian dentro ad ogni specie di copricapo, il viso infardano di farina e di ogni maniera di colori. Tutti poi, borghesi e popolo, piccini e grandi, recan tralci e corone di edera ed, ad armacollo, il tradizionale fiasco di vin cotto, qualche cosa di atroce, che ti cauterizza la gola e ti manda a spasso il cervello.

E così, questi strani figuri, dato di piglio a cassette di petrolio, a testi, a secchie di legno, e, martellandovi su alla disperata, scorazzano per le vie della città; e come il vino nella testa lavora, s’urtano, s’abbracciano, barcollano, cascano, si regalano ceffoni e baci da lasciar gli uni e gli altri il livido sulle guancie. Lungo le strade, in tanto, per le piazze, nei viottoli, ovunque, son là, che aspettano, i severi ministri dell’orgia del fuoco, ritti, taciturni, addossati alle case, alti così da sorpassarne i primi piani col capo: i ministri del fuoco, pronti a gittare il loro alito di fumo e di fiamme sulla città sgomenta. ..vo dire, fasci di canne, riempiti di paglia, anima vigliacca in corpo che si sfascia, conosciuti dal nostro popolo sotto il poco ben promettente nome di – BAGORDI -.

Oh, che è? Che non è? Da un’oscura strada della città si avanza lentamente un carro tirato a braccia di uomini e la folla si precipita verso esso schiamazzando. Su quel carro, sotto un verde padiglione di ellera, sta seduto un fantoccio vestito come dio vuole; la testa di legno ha calva, prominente, enorme il naso, il viso dipinto di carminio. Gli han posto intorno al collo a parecchi giri un monile di gusci d’uova, e il monile ricade abbondantemente sul petto. Intorno al carro, di qua, di là, di su, di giù, è una ressa, un diavolio di maschere, tra le quali uomini che, coperti il tergo con una pelle nera di scaprone e tiratone il muso sul capo a maniera di cappuccio, dando fiato a buccine ed a corni e grottescamente saltellano.

La folla degli incamiciati, quasi presa da sacro furore, urlando, si caccia giù in corsa per la via del Serpente Aureo: e in quella lunga e stretta gola, fiancheggiata da alte case, non vedi che una confusione indescrivibile di figure umane, e sopra esse, fra turbini di fumo, un aleggiare di mille fiamme che si allontanano ondeggiando; e sbattimenti di luci e giuochi di ombre corron su per le mura circostanti, poi, su nell’alto, una striscia di cielo nero punteggiato qua e là da qualche stella pallida. E gli incamiciati tornano, cioncano, ripiglian fiato, si ricacciano per le vie, s’abbattono, s’incrociano con altri, e tutto è fuoco, fumo, urli, un vero pandemonio. Ma il severo genio, che presiede alla festa, adesso ravvolto esso pure in un mantello di porpora, manda di lassù nello spazio la sua poderosa voce di bronzo; i bagordieri si sparpaliano, i fuochi si spengono, cessa l’urlio, e le tenebre tornano a regnare sovrane sulla città che tace e si addormenta.

CARNEVALE E QUARESEME

Poesia in dialetto offidano, pubblicata in data 5 Marzo 1893 dal settimanale OPHYS, composta dal dott. BASILIO MERCOLINI.

-Che carnevale! Non petiè proprie esse Più allegre de quescì commara miè,.

Pe lu troppe ballà, ancora li piè .

Me dole e lu ghenfiore ne me cesse:

Se sapesse commà. ..Se te decesse

Che peccatacce… Oh poveretta mè!

Chi me li verrà ssolve? E grossi bè;

Se mariteme può li risapesse!. ..

-De carnevale tutte se pò fa;

E’ per queste che dopo carnevale Vè la Santa Quareseme, commà;

Acciocchè oguno se possa purgà,

De tutte li peccate, anche mortale,

Aforze de dejù e de baccalà.

(Offida-17.2.1893)

Nato a Spinetoli li 8.7.1863, Basilio Mercolini, commercialista, si spense il 18.3.1931 ad Offida, ove aveva trascorso la sua esistenza. Socialista e repubblicano partecipò attivamente alla vita politica ed amministrativa della città. Fu amico e fattivo collaboratore, in attività politiche, del prof. G. Allevi, anch’egli socialista, docente di patologia del lavoro all’Università di Milano. Ebbe una sfida a duello da Guglielmo Allevi, durante le elezioni politiche.


Lu Bov Fint – ricordo di un tempo che fu

di Leonida Massaroni

La storia del Bove Finto sicuramente è conosciuta da tutti, pertanto non ritengo necessario spiegarla. Voglio invece narrare ciò che mi è stato raccontato da alcuni personaggi purtroppo scomparsi. Essi partecipavano a questa manifestazione storica e folcloristica con passione, allegria e rispetto reciproco, senza causare danni e gravi incidenti. Quelli che ricordo sono: Tommaso e Luigi Laudadio (Lu Falc e Giggió), Mario Casali, Arturo Ciabattoni (Ippó), Mario e Angelo Benfaremo (Monell’ e P’ló), Costantini Romualdo (Ninitt), Fausto De Santis (La Chi’chi’n), Virgili Dante (Titill), Sumeli Ugo (Pulinar), Giuseppe Brandimarti (Totònn) e Camillo Di Lorenzi (Pazzin).

I migliori anni furono quelli dell’immediato Dopoguerra (1946-1951), quando loro, operai occasionali e uomini del popolo, in quella occasione dimenticavano tutti i propri problemi per dedicarsi solo a quella che ritenevano la più importante festa del paese. A quei tempi il Bove Finto veniva preparato da Lu Falc e Totònn e dalle loro mogli Menichina e Filomena nella zona delle “Cas Vass”. Lo scheletro veniva costruito con pezzi di legno rimediati nelle botteghe dei falegnami, le costate si ricavavano da vecchi setacci rotti e aperti a semicerchio, il mantello di solito era un lenzuolo prelevato di nascosto dalla dote delle loro mogli, la faccia dipinta da qualche pittore locale: Menichina e Filomena lo abbellivano con fiammanti fiocchi, cordoni e bon bon rossi, le corna e la coda accuratamente selezionate e pulite nel locale mattatoio; organizzazione ferrea ed efficiente. Il Gran Giorno iniziava con gli ultimi preparativi del mattino che precedevano la partenza davanti casa di Ubaldo Sergiacomi (“Fuori Porta”), il quale distribuiva dei fischietti ricavati dalle canne che vengono usate per “I Velurd”.

La corsa del Bove si svolgeva nel centro storico visitando tutte le piazze e piazzette di Offida, le fermate, quelle che oggi sono chiamati posti di ristoro erano poche, ma sostanziose: fava ncreccia, pane e olio e qualche volta un po’ di pane e salsiccia. Il vino veniva consumato in grande quantità.

Il tutto era offerto da alcuni proprietari terrieri come Marco Mercolini, Ubaldo Sergiacomi, Alessandro Alessandrini, Erasmo Sergiacomi, Franz Fazi, Cesare De Santis e da semplici cittadini, tra i quali “ primus inter pares” Libero De Santis, insigne maestro di scuola e di vita. Ancora oggi noi più anziani siamo ospiti delle sue due figliole. Lo spettacolo era assicurato e tutto si svolgeva nel massimo ordine e simpatica confusione fino all’ora dell’uccisione che precedeva la sfilata finale. La giornata terminava con una sbevazzata in qualche cantina di Offida. Voglio descrivere alcuni particolari: partecipavano solo uomini, che col nerofumo o con un sughero bruciato si tingevano un occhio; esso rappresentava la reazione della moglie provocata dalla sbornia presa la sera prima (il Giovedì Grasso).

Il Bove Finto in quel periodo fu portato ad Ascoli Piceno in Piazza del Popolo per volontà di Meletti e Orlini (Sindaco di Ascoli) con il camion di Pietro Lu Picchj(e) e a Castel di Lama, a causa delle bandieruole rosse furono scambiati per compagni comunisti che si recavano ad una manifestazione politica.

In Piazza del Popolo ci fu la famosa scena della vescica di maiale piena di sangue di bue che non si rompeva per il freddo. Dopo vari tentativi, lo scopo fu raggiunto con il risultato di vedere pavimento, loggiato e spettatori dipinti di rosso. L’anno dopo, Camiscioni, Palestini e il Dottor Panfili (Sindaco di San Benedetto), vollero il Bove Finto alla Palazzina Azzurra; altra scena bella: il portatore era Tomassino e sotto c’era Monell’; per farla breve inciamparono con i due gradini posti prima della pista cadendo entrambi; trascinarono con loro sedie, tavoli, bicchieri, bottiglie etc… scatenando sorrisi e simpatia che fruttarono abbondanti sbevazzamenti. A questi personaggi nel tempo si sono susseguiti come portatori esterni Giancarlo Il Falco, il sottoscritto, Peppino Il Falco, Eraldo Volponi, Dante Carfagna etc…

Questi ultimi due ancora oggi sono in attività, mentre io, a causa della mia età e di qualche acciacco, mi limito ad effettuare solo la partenza, passando dopo cinquanta metri il Bove a mio figlio Iginio, che ha preso anche il mio posto nella sfilata finale a trascinare con la corda il Bove. In questi ultimi anni, in tre si occupano della preparazione del Bove e sono: Daniele Capriotti, Claudio Calvaresi e Roberto Sergiacomi; ad essi va una nota di merito per passione e disponibilità. Termino raccomandando a voi giovani, che siete la linfa vitale della nuova società, di divertirvi con serenità ed allegria, considerando l’Amicizia, dopo il lavoro e la Famiglia la vostra terza ragione di vita.


per gentile concessione dell’autore

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Fuori Porta (fine anni ‘40): Mario Casali nella veste di torero

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In Piazza (1958 ca.): al centro Giancarlo Laudadio (Lu Falc)

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Davanti al Dopolavoro (1969): in ginocchio Leonida e sotto il Bove Finto Peppino Laudadio (Lu Falc)

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La corrida (anni ‘80): al centro Leonida con il Bov Fint


Il Carnevale e la cultura popolare

di Francesco Casagrande

Da decenni, se non secoli per meglio dire, la comunità offidana connotata dalle sue profonde e consolidate radici agresti si appresta a celebrare il tanto amato Carnevale storico nelle sue molteplici varianti ma pur sempre con immutate modalità.

Seppur data l’incombente pandemia in corso di portata globale ci induce a non movimentare le giornate carnascialesche, non potremmo mai lasciar tacere e sommettere l’animosità regnante dei vari dì di festa; il susseguirsi di vicende grottesche ed esilaranti correlate da buffoni e chierici vagantes appositamente atti a decretar l’inscenar irrefrenabile dello sberleffo rappresenta il fluire inesorabile di una umanità trafitta dal soppesati istituzionalismo e dai suoi dettami.

La specifica volontà di non rimanere imbrigliati da tali “grinfie mnemoniche” risiede ed alberga nel tessuto sociale del popolo, che nella mera accezione conferitagli di grasso e minuto pervade con il suo bagaglio di inusitata saggezza una fase stagionale transitoria come quella del Carnevale in cui si mostra protagonista.

A non recedere dunque saranno mai i loro abiti consunti o di foggia pittoresca e vezzosa, l’interloquire a volte tracotante ma di consapevole umana specie e di un accadimento così peculiare non resta che un auspicio beneaugurale di vestigia storiche e culturali.

27 gennaio 2021

Il Carnevale offidano: una tradizione secolare

di Francesco Casagrande

Si è soliti pensare inconsciamente, ogni qualvolta ci si approssima a celebrare il periodo carnascialesco, a momenti conviviali dettati dall’euforia e dall’ebbrezza del momento; se si voglia vagliare e narrare la vita comunitaria offidana, il contesto festivo acquista una notevole rilevanza e prestanza di vestigia, che provengono da un sostrato storico e culturale sedimentatosi nel corso del tempo e a dir il vero dei secoli.

La cesura temporale transitoria che impone il passaggio stagionale e della sua ciclicità inesorabile ci induce a riflessioni che rinviano ad un bagaglio mitologico del paganesimo delle origini.

Difatti la manifestazione più emblematica che connota il Carnevale storico offidano, emerge dalla valenza simbolica dell’animale sacrificale. quale un toro caro alla divinità dionisiaca nella cui ambientazione salvifica si aggiungono e gravitano intorno ad esso le Baccanti, ossia le menadi che, agitando il tirso, provocano una concitazione in chiave orgiastica e rituali volti alla fecondità.

La rappresentazione, seppur veritiera nei dettami antropologici ma svolta mediante il simulacro de lu Bov fint, ha in sé di certo il mito di fondazione in termini propiziatori per la fertilità dei campi data la vocazione agraria della cittadina offidana.

Dunque l’invito esplicitamente rivolto a chi si accinge a voler partecipare a momenti memorabili emotivamente è di acquisire una “coscienza” di componente di una complessità indotta dal Kaos rigeneratore.

7 febbraio 2022


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il direttore Alberto Premici


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