L’opinione altrui: quanto conta?

di Gabriele Gabrielli *

Nei momenti di cambiamento siamo forse più attenti del solito a quello che gli altri potranno pensare di noi e di quello che ci “ è capitato”, piuttosto che alla reale portata e all’impatto del cambiamento sul nostro lavoro e sui suoi contenuti. In qualche maniera cioè siamo più preoccupati a valutare se la nostra “considerazione” presso colleghi ed amici possa subire una qualche flessione, che a ponderare con serenità cosa in effetti cambia nelle responsabilità affidateci, nella possibilità di apprendere altro e crescere così in termini personali e professionali. E’ talmente forte il peso dell’opinione e della considerazione altrui che talvolta questa attenzione ci fa perdere di lucidità e non ci fa valutare correttamente le situazioni. Spesso rimaniamo così intrappolati in questa situazione da commettere errori gravi ed assumere comportamenti fuori luogo e imprudenti anche nei luoghi di lavoro. Facciamo un esempio. Quando c’è un cambio di proprietà o un cambio di management nelle imprese, e in generale nelle organizzazioni, c’è sempre un gran trambusto. Gente che se ne va e gente che arriva; il gossip che impazzisce e che ogni giorno accresce la sequela dei “si dice che”; la lista “immaginata” dei promossi
e dei “segati”. E tutto questo prende forma nei comportamenti di colleghi, collaboratori e capi. Allora vedi persone che, normalmente molto restie a parlare e molto discrete, diventano all’improvviso loquaci, si lanciano in riflessioni e dibattiti sulla organizzazione e sui suoi effetti, sulle strategie che il nuovo management adotterà e sulle ricadute su programmi e uomini. E questo solo perché il nuovo capo ha chiesto loro un consiglio su come gestire una questione. Altri invece che si sentono “già fatti fuori” perché erano stimati dalla vecchia proprietà o management; come se fosse una colpa. Altri ancora, invece, che continuano a mantenere gli stessi ritmi e a chiedere a chiunque capiti come risolvere un problema o gestire una questione; questi ultimi normalmente si attirano lo scherno degli altri perché difficilmente si può accettare che qualcuno –mentre si stanno facendo i nuovi giochi- pensi ancora alla quotidianità e al lavoro e non si preoccupi invece di come “costruire” il suo spazio con i “nuovi”. Arriva poi il momento tanto atteso in cui il nuovo management chiarisce meglio il suo programma, le sue attese o come vuole organizzarsi e quali responsabilità “affidare”. “È andata bene” –pensiamo- “faccio parte della sua squadra e inoltre mi ha dato una responsabilità che è molto importante nel suo programma di lavoro”. Ma la festa è spesso rovinata da quello che invece gli altri ti dicono; ci sono sempre colleghi pronti e molto generosi in questo nel proporre letture più sofisticate; ad evidenziarti aspetti “improbabili” ma che al bar invece sono sulla bocca di tutti; c’è sempre qualcuno che ti fa venire il dubbio che il “capo” ti voglia fregare. Tutto allora rotola come una slavina che sul suo percorso verso la valle diventa sempre più grande trascinando con sé tutto ciò che le capita in mezzo. Insomma, ciò che gli altri pensano di noi conta molto e talvolta anche più dell’oggettività delle cose; nel nostro esempio di quello che l’azienda e il suo management ti ha detto. Tanto vale allora “mettersi contro” e armeggiare per far sì che le cose non funzionino bene. Ma in questa scelta il nostro buon credulone non troverà poi molta compagnia perché gli altri, i consiglieri dietrologi di cui ciascuno di noi si dota normalmente in gran numero, lo lasceranno con molta probabilità “solo” e si “defileranno”. Quello che loro dovevano fare l’hanno già fatto! Insomma la nostra identità ed “integrità” come persone dipende “in maniera fondamentale dall’approvazione o dal riconoscimento di altri soggetti”. E ai tempi nostri la cerchia di persone che possono avere tale influenza si allarga sempre di più in ragione delle crescenti reti di relazioni che costruiamo. Pensiamo allora a quanta responsabilità abbiamo tutti nell’influenzare comportamenti e soddisfazione di chi ci sta vicino anche nel lavoro; o addirittura alla capacità che abbiamo –secondo il pensiero di un grande filosofo come Axel Honneth- di sostenere o spezzare il percorso di autorealizzazione delle persone.

* Docente LUISS Guido Carli

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