“E poi dicono di investire al Sud. Di andarci a lavorare. Di aiutare, sostenere e non isolare il nostro Meridione. Ma se questo è il prezzo che si paga, beh… io dico che è meglio lasciare il Sud al suo destino”. E’ il 10 aprile quando Enzo Marti, 47 anni, esperto di riciclaggio dei rifiuti oltre che di tutto ciò che riguarda la gestione delle discariche, viene messo in manette e portato in carcere. Con lui finiscono dentro altre 14 persone. Per tutti (a vario titolo) le accuse sono pesanti, infamanti: associazione mafiosa, estorsioni, danneggiamenti, detenzione illegale di armi, minacce e intimidazioni poste in essere per ottenere appalti e subappalti pubblici, oltreché la gestione di alcune discariche in provincia di Messina. Un macigno. Gli amici di Offida, dove Marti vive con moglie e due figli adolescenti da tantissimi anni, cadono dalle nuvole. Doveva presiedere un seggio elettorale, è sostituito in fretta e furia. A Porto San Giorgio, dove lui è Ad della Sangiorgio Distribuzione, la società per la gestione dei rifiuti partecipata dal Comune, sono tutti stupiti. Nel Fermano, nel Maceratese e nell’Ascolano (Marti è stato consulente di tante imprese e amministrazioni pubbliche) è sgomento generale. Si cerca di capire di più, di sapere cosa sia successo di così grave in quella Sicilia che gli aveva dato i natali e che lo aveva richiamato per avvalersi della sua professionalità, riconosciuta a livello nazionale. Ma regna il silenzio.
Poi la svolta: lunedì scorso arriva la scarcerazione. Nel dispositivo dell’ordinanza si legge che “Marti non ha posto in essere alcuna condotta suscettibile di essere presa in considerazione ai fini del riconoscimento della partecipazione o del concorso esterno in associazione mafiosa”. “E’ stata la fine di un incubo”, commenta oggi Enzo Marti.
In mezzo ci sono infatti 34 giorni di prigione, di cui quattro trascorsi a Marino del Tronto e trenta nel carcere di massima sicurezza di Reggio Calabria. “E’ stato uno tsunami, un’esperienza assurda. Trascorrere più di un mese in prigione con la consapevolezza di essere completamente estraneo ai fatti è una roba terrificante, non lo auguro a nessuno. Ancora oggi, a qualche giorno dalla scarcerazione, fatico a prendere sonno. Solo la notte appena trascorsa sono riuscito a dormire. Oggi mi sento quindi un po’ meglio. Ma sono provato. Psicologicamente e fisicamente. Ci vorrà ancora qualche giorno prima di una completa ripresa”.
Tutto comincia alle tre del mattino del 10 aprile. “Stavo dormendo quando ho sentito bussare alla mia porta. Erano i carabinieri che mi hanno consegnato l’ordine di custodia cautelare, poi preso e portato a Marino del Tronto. Cosa ho pensato in quei momenti? Boh, passare dal sonno a quella situazione… mi davo i pizzicotti. Mi chiedevo: ma sta succedendo veramente oppure no?”.
Era tutto vero. Seguono quattro giorni e quattro notti in una cella due per quattro, condivisa con altri detenuti. “E’ stato come trovarsi in una vasca di squali o risvegliarsi nella fossa dei leoni”. Poi il trasferimento a Fiumicino, da lì in aereo a Reggio Calabria. Destinazione: carcere di massima sicurezza. Dove resta trenta giorni. “Parliamo del carcere di massima sicurezza di Reggio Calabria, non so se rendo l’idea! Dentro c’è di tutto: mafiosi, affiliati alla ’ndrangheta… Un incubo senza fine. Per un mese non ho potuto parlare con la mia famiglia. Non sapevo cosa stesse accadendo fuori, buio totale”. Lunedì scorso, intorno alle 14, mentre Marti si preparava a trascorrere un’altra notte in quello che lui chiama “l’inferno carcerario”, una guardia si avvicina alle sbarre. “Mi ha chiamato sottovoce. Mi ha detto: stai calmo… E poi: sei libero. Sì, proprio così: sei libero”.
Cosa si prova in quei momenti? “Beh… un’euforia… Come rivedere il sole!”. Un sole durato poco, però. “Sono stato rilasciato alle due del pomeriggio. Mi hanno messo fuori dal carcere di Reggio Calabria senza soldi, senza documenti, senza cellulare, senza aver potuto parlare con alcuno. Solo. In mano l’ordinanza di scarcerazione. Metodi da Paese civile? Sono andato a piedi alla stazione, ho parlato con la Polizia ferroviaria chiedendo di poter prendere un treno che mi riportasse nelle Marche. Niente da fare. Avevo indosso solo una collanina d’oro. Ho pensato di consegnarla al tabaccaio in cambio di una telefonata e un biglietto per tornare a casa. Dopo un attimo di resistenza, raccontata la mia storia, ha capito”. Gli ha pagato il treno, senza volere nulla in cambio. “Ti prego, permettimi di fare un’azione buona oggi…”, gli ha detto.
E’ così che Marti è potuto tornare finalmente a casa e riabbracciare la moglie e i figli. Mercoledì mattina è passato in Comune a Porto San Giorgio per salutare i colleghi e gli amici. Dopodomani incontrerà il sindaco e capire se e quando riprendere il lavoro lasciato (nel frattempo è stato infatti sospeso dall’incarico di ad). Ma quei 34 giorni l’hanno convinto che il regime carcerario, così com’è, non va. “E’ indegno per un Paese civile. Di carcere – racconta – avevo solo letto qualcosa sui giornali. Ma un conto è leggere un libro un conto è passarci. Il sistema italiano non ha niente a che vedere con la riabilitazione. Come fa uno ad essere “riabilitato” in quelle condizioni? Manca tutto: strutture fatiscenti, condizioni igieniche scandalose. Marino del Tronto, poi, è di una indecenza totale, un carcere vergognoso. Mi auguro che qualcuno dei nostri politici si prenda la briga di andare a vedere cosa c’è là dentro! E’ una galera medievale, roba che neppure nel terzo mondo verrebbe ammessa. Le condizioni in cui i detenuti vivono sono inaccettabili dal punto di vista umano”.
Marti va anche oltre. Riflette sul Meridione. “Ho avuto modo di toccare con mano che la situazione del Sud è drammatica. Non sono affatto meravigliato, ad esempio, del disastro rifiuti a Napoli. La gestione delle discariche è senza regole, manca tutto. Tutto. Chi vive e opera nelle Marche non può rendersi conto. E’ un altro mondo”. Tornerebbe a lavorare in Sicilia? “Per carità! Ho lavorato in provincia di Messina per quasi tre anni. C’è una dimensione strana, un ambiente diverso tanto che non ho mai voluto trasferirci la mia famiglia. Quando sono arrivato non ho trovato una cosa che andasse per il verso giusto. Da una situazione di totale caos in sei mesi siamo riusciti a progettare una mega discarica a Mazzarà S.Andrea, entrata a pieno regime nel 2005. Una discarica da 1000 tonnellate al giorno, l’equivalente della produzione giornaliera nelle Marche. Nel 2006, finito il mio lavoro, mi sono dimesso e sono tornato nelle Marche. Due anni dopo l’arresto e – prosegue Marti – l’inizio di un incubo. E poi dicono di aiutare il Sud… beh, se questo è il prezzo da pagare! Finché lo Stato non mette imprenditori e professionisti al riparo da ripercussioni come quelle che ho passato io… meglio che il Sud venga lasciato al suo destino”. (Fonte: Corriere Adriatico – Autore: Lolita Falconi)