di Gabriele Gabrielli, Docente Università LUISS Guido Carli [ www.gabrielegabrielli.com ]
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p align=”justify”>"O come lavoratori, o come disoccupati, o come genitori di disoccupati, siamo comunque ‘interni’ al problema della disoccupazione … ", così scriveva quindici anni fa il sociologo Domenico De Masi aprendo un suo fortunato e bel saggio ["Sviluppo senza lavoro" , Edizioni Lavoro, Roma, 1994]. L’autunno -dopo un’estate piena di "clamori" di varia natura- si caratterizza per questo interesse e coinvolgimento dall’"interno" al problema disoccupazione. L’"emergenza lavoro", in effetti, si sta delineando con sempre maggiore e brutale nitidezza. E’ proprio vero, la disoccupazione interessa tutti. Questa situazione rischia di produrre "distruzione di capitale umano", rendendo ancora più difficile la ripresa, che non viene aiutata da una domanda di consumi impoverita dalla disoccupazione che volatilizza i redditi disponibili. Perché le famiglie italiane, secondo i dati Unioncamere, sono sempre più indebitate e fanno fatica a onorare i debiti. Insomma, il nostro paese arranca da più parti ed è sempre più attuale il rischio di un allargamento del perimetro di quanti vivono alle soglie del "livello di povertà". Si aggiungono inoltre altre preoccupanti "nuove soglie". Ora è la volta della "soglia di povertà alimentare". Una ricerca realizzata dalla Fondazione per la Sussidiarietà, curata dall’Università Cattolica, ha rilevato che oltre il 5 % delle famiglie italiane non ha abbastanza reddito da spendere per provvedere ad una dieta equilibrata necessaria per assicurare un sano sviluppo fisico e mentale. Sono dati che, insieme alle prospettive assai critiche sulla disoccupazione ed alle sue evidenti ripercussioni sul reddito familiare rilanciate da Dominique Strass-Kahn direttore dell’FMI, ci lasciano tutti un po’ storditi. Questo processo di deterioramento delle condizioni sociali rimette al centro della nostra attenzione quelli che Abraham Maslow chiamava "bisogni fisiologici". Pensavamo che l’economia, lo sviluppo e il benessere di questi decenni avessero relegato tale categoria di bisogni nell’angusto e teorico spazio delle aule universitarie, dove si studiano teorie motivazionali, personalità e comportamento umano. Ma la cruda realtà rompe questa quiete perchè i dati ci dicono che c’è un folto gruppo di persone costretto, invece, a dimenarsi nel gradino più basso della "scala dei bisogni". Quando i bisogni fisiologici restano insoddisfatti, sappiamo che l’uomo è dominato da questi. Figuriamoci, allora, se queste persone che vanno a formare una sorta di "cittadinanza di soglia" possano pensare a realizzare pienamente se stessi assecondando la loro vocazione, i propri interessi e sogni. Hanno ben altro cui pensare. Ma il paese così perde pezzi, continua a "sfarinarsi" -come direbbe Giuseppe De Rita- e ad indebolire il suo capitale umano, recidendo i legami che lo formano e che strutturano la società. Questo è un terreno su cui seminare, allora, e rapidamente nuove piantagioni, incentivando con determinazione, per esempio, modelli di creazione e distribuzione di valore come quelli propri del mondo del non profit e di quello cooperativo. Quest’ultimo ha storia, valori ed energie straordinari da mettere al servizio di una "ricostruzione" sostenibile della società civile e dell’economia, includendo nello sviluppo anche queste "filiere" di cittadinanza di soglia. C’è da augurarsi, dunque, che trovino forza e coraggio leadership e uomini che, senza timori, promuovano e valorizzino questa visione con progetti adeguati ed ambiziosi. Che riescano ad integrare la prospettiva dell’economia capitalistica con quella della solidarietà. Il mondo della cooperazione può aiutare molto a far risalire nella scala dei bisogni le fasce di popolazione più disagiate, promuovendo quelli che Stefano Zamagni chiama "mercati civili" che "tendono a colmare divari economici e sociali, consentendo a tutti di prendere parte al gioco economico attraverso l’attivazione di meccanismi di inclusione".