di Francesco Casagrande – Si è soliti osservare e trarre conclusioni mirate o piuttosto di mera approssimazione sulla comunità offidana, così raccolta e dedita al suo periodo, che più la connota, ossia quello carnevalesco, senza porre attenzione ai primordi che hanno reso tale clima festante un fattore sociale e culturale scatenante.

Non siamo in presenza di un ridanciano”sberleffo” o maschere antropomorfe che, a livello caricaturale, animano e dissipano la tela delle relazioni, così relegate ad essere seriose nella vita quotidiana, per poi giungere ad un repentino rovesciamento delle gerarchie così imposte; ciò che accade nel nostro territorio offidano può assumere la valenza simbolica di un memoriale delle sue manifestazioni, tanto attese quella de lu Bov Fint e dei Vlurd a rinnovare un tradizionale ritualismo, che non accenna a finalità altre rispetto alla sua vocazione, bensì a testimonianza di un passato arcaico e di sacrale fondamento.

La fatidica caccia a lu Bov fint, appartenente ad un storicità secolare, rinvia ad un tripudio popolare, alla tracotanza che detta il mito greco e romano del culto dionisiaco, in cui il bue rappresenta l’animale sacrificale e salvifico mediante la sua sfrenata furia, incombe ed ingenera un Kaos cosmogonico dal quale nessuno potrà sottrarsi.

Una volta dunque ottemperato all’azione arcana e bruta, se così la possiamo definire, se assistita con gli occhi di noi contemporanei, ci apprestiamo a valutare la fantasmagorica processione dei Vlurd, ove il fuoco purificatore catalizza la già “esagitata” folla di astanti carnevalieri ad esser condotti in un vortice propizio, che tutto ammalia ed ammanta di misterico valore antropologico appunto.

Difatti apprestiamoci a trascorrere tali festività profane nella più profonda partecipazione fisica ed emotiva, come tutti gli offidano hanno dimostrato più volte.

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